Strategie alla base della comunicazione di Donald Trump

Prendo spunto da un interessante articolo pubblicato oggi su Il Resto del Carlino, per parlare di strategie di comunicazione politica. Specifico subito che evito di entrare in merito ai contenuti e riflessioni ideologiche. Non scrivo di politica ma di comunicazione politica, che, in un contesto come quello americano, diventa evidente, plateale e pura persuasione.

Nell’articolo su Il Resto Del Carlino, Scott Adams, esperto di ipnosi e tecniche di persuasione, destruttura e analizza l’approccio comunicativo di Trump, lanciato nelle primarie per la corsa alla Casa Bianca 2016.

Osservare una campagna elettorale, dal punto di vista della comunicazione politica, è sempre un ottimo test per chi vuole studiare tecniche e metodi di persuasione. Sì, in questo caso la comunicazione è più spinta (si può dire?) perché l’obiettivo è la conquista dei voti.

In questo articolo, Adams, che è anche il papà della striscia Dilbert, focalizza l’attenzione su cinque strategie messe in atto da Donald.

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Vediamole insieme e aggiungiamo le nostre considerazioni.

  1. Trump parla esclusivamente per immagini, a differenza degli altri candidati che comunicano concetti, numeri e statistiche. Al livello razionale, i secondi funzionano ma la comunicazione politica ha tempi stretti e il messaggio deve essere veicolato in modo rapito, sintetico e incisivo. Deve arrivare all’interlocutore in pochi secondi. Cosa si memorizza meglio una foto o un elenco contenente statistiche? Le immagini hanno il potere di parlare senza parole, stimolano l’old brain, la parte del cervello preposta a prendere decisioni. Non decisioni razionali, quelle le prendiamo attraverso il new brain, dove il processo di pensiero logico-razionale è prevalente, e nemmeno attraverso il middle brain, che rielabora il processo emotivo. Le immagini arrivano, in sostanza, nella parte del cervello che prende decisioni stabili, sicure e chiare.
  2. Trump parla come un bambino di quattro anni. Se da un punto di vista logico questo può sembrare ridicolo, dal lato persuasivo, invece, ha in se una forte efficacia comunicativa. Più un concetto viene trasmesso in modo semplice più viene recepito. All’interno di una convention, quante volte Donald ripete le stesse parole? Tante. Un concetto, poche parole, sempre quelle. La tecnica è quella del “fissare in mente”, attraverso parole chiare, semplici, ripetute, il messaggio diventa univoco, indimenticabile. Strutture linguistiche e sintassi complesse fanno perdere il contenuto, lo fanno girare in aria senza cadere su chi ascolta.
  3. Le parole sono come le azioni, portano con sé effetti e conseguenze, incidono sulla percezione della gente, la modificano. Trump fa uso delle “pallottole linguistiche”. Nei confronti degli avversari politici, non spara a zero, cercando d’inficiare a livello logico la loro reputazione. No, lui tira pallottole sotto forma di parole. Nei confronti di Hillary Clinton, per esempio, ha usato termini come “è poco resistente”, “non è in forma”. Cosa ci pensare questo? Quale immagine richiama alla mente? L’idea della perfetta salute? No. In questo modo la strategia di Trump, creata da consulenti che hanno fatto un grande lavoro, mira alle convenzioni acquisite del pubblico, e non importa se reali o di fantasia. Il pubblico quando vedrà Hillary, noterà ogni suo gesto a conferma della sua salute cagionevole. Noterà le borse sotto agli occhi, i movimenti spenti, la stanchezza nel tono di voce. Basterà uno starnuto e un colpo di tosse per dire “vedi, ha ragione Donald”. I consulenti della Clinton l’hanno capito questo messaggio e non a caso negli ultimi appuntamenti pubblici, i suoi gesti sono stati decisamente più plateali, accessi. L’effetto rischia di essere l’opposto però. Questo per due motivi: uno perché gli americani possono vederla come una candidata che cerca di mascherare la stanchezza (e quindi Donald ha ragione, comunque); due perché reagire alla strategia comunicativa dell’avversario è come difendersi. In sostanza si sta dietro alla sua scia. Vince chi guida, chi traccia la strada e trasmette questa percezione. Chi si difende, o peggio ancora copia, è sempre secondo e percepito in una posizione di inferiorità. Le reazioni istintive agli attacchi sono anche pericolose. Quando Trump ha usato toni cattivi e pesanti nei confronti di Hillary dicendo “L’unica carta che può giocare è quella di essere donna, non ha niente altro. Francamente, se Hillary Clinton fosse un uomo non avrebbe il 5 per cento dei voti”, i suoi consulenti hanno pensato di “sfruttare” questa situazione (chiunque si sarebbe arrabbiato, è chiaro. Anche perché è uno scivolone di rilievo che, da un punto di vista politico può solo compattare il partito democratico, e unire le varie costituencies intorno ai temi sulla donna). Lo Staff della Clinton ha creato la “carta delle donne” (woman’s card), una carta di credito rosa con il simbolo stilizzato della donna, da regalare ai supporter della campagna elettorale. Mini Timmaraju, dello Staff della Clinton, ha dichiarato:  “I sostenitori di tutto il Paese ci hanno fatto sapere che gli sarebbe piaciuto possedere una di queste carte per farne mostra orgogliosamente sul frigo o per tirarla fuori dal portafogli ogni volta che qualcuno sosterrà che le donne che tifano per Hillary non usano il cervello”. Una mossa vincente che ha intaccato Trump? No. La carta di credito è associata al debito, il logo usato ricorda quello dei bagni pubblici. -womanscard.530x298
  4. Il tycoon newyorchese Trump crea situazioni win-win, col suo modo di rispondere a provocazioni o domande su gradi temi che potrebbero metterlo in castagna, svicola alla grande e lancia un sasso ancora più pesante. Facciamo un esempio, che è lo stesso riportato nell’articolo e spiegato da Scott Adams. La Cnn chiese a Trump di commentare le parole del Papa contro il capitalismo. Da cattolico non avrebbe potuto criticare il Papa e da miliardario nemmeno il capitalismo. Rispose così: il Pontefice dovrebbe preoccuparsi degli attacchi dell’Isis al Vaticano.
  5. Indossa i panni del “venditore che ha concluso il contratto”. Se cercate in rete video di Trump, noterete che i colori che indossa sono gli stessi della bandiera americana: blu scuro, bianco (la camicia) e rosso (la cravatta). La sua immagine gioca chiaramente con l’identità, l’appartenenza e va anche oltre perché Donald si veste come se fosse già il Presidente degli Stati Uniti. Un messaggio identificativo chiaro, un dire, tramite la vista, “io non sto cercando di conquistare la Casa Bianca, io sono la Casa Bianca”.

Il tono di Trump è forte, deciso e propone sempre un chiaro contrasto: o rischi o prendi la mia sicurezza, o vai lento o vai veloce come me.

La posizione di “stabilità percepita” passa anche dal suo sito internet donaldjtrump.com. In questo caso, nella foto scelta nella homepage non indossa la cravatta rossa, è invece di un blu acceso, ma tutti i colori della bandiera americana sono distribuiti nella veste grafica. Donald fa il segno di vittoria. C’è lui, solo lui. L’immagine richiama un Presidente degli Usa che trasmette forza al suo popolo, sicuro di sé. L’idea della “vittoria avvenuta” non c’è invece nel sito della Clinton hillaryclinton.com. In homepage troviamo la foto di lei che applaude sostenuta da una folla di supporter. In alcuni casi, mostrare gente intorno a sé, funziona, è un rafforzare la propria posizione. Ma in questo caso prevale la percezione di una campagna elettorale ancora in atto. Dalla parte sua, Hillary ha la scelta dei colori, luminosi, un azzurro cielo. E la card rosa e gialla? Rimane scollegata da questa immagine e sottolinea l’improvvisazione di una strategia all’ultimo.

Il duello Trump/Clinton appare chiaro, e oggi, giornata importante per il voto in Indiana, il tycoon repubblicano ha dichiarato: “Se vinciamo in Indiana è fatta, ok? E ce la faremo. Non dovrei dirlo, per evitare di farvi perdere l’incentivo di andare a votare, ma ce la faremo di sicuro. E i miei rivali a quel punto si ritireranno e ci potremo concentrare su quella disonesta di Hillary”.

Quante volte ha detto “ce la faremo”? Tutti gli altri rivali sono già spariti e resta solo Hillary, colpita dalla pallottola “disonesta”. E per restare in tema di percezioni indotte, la Clinton, in passato, ha avuto diversi problemi nell’uso di badge e carte. Un’esperienza che può essere rievocata attraverso la card delle donne.

In conclusione di questo lungo articolo, vi ricordo che l’analisi è puramente tecnica e non ideologica, affrontata dal punto di vista comunicativo e non contenutistico. In attesa dei risultati, chiudo con il pay off scelto dai due candidati maggiori alle presidenziali Usa 2016.

Trump “Make America Great again

Clinton “Now let’s go win

Il primo sembra essere già a lavoro, la seconda ancora in corsa per la conquista. In ogni caso, in bocca al lupo e vinca il migliore.

2 Responses so far.

  1. Luigino Bucosse scrive:
    Bell’articolo.
    Considerazione: tra chissà quanti decenni, quando saremo un po’ meno facilmente abbindolabili attraverso le tecniche di comunicazione per effetto di una evoluzione che secondo me è naturale allora tenderanno a vincere più facilmente per le idee e la sostanza. ma per ora è certo che Trump, così come molti altri, anche in Italia, sono solo “scatole vuote” ma decisamente ben confezionate.
    • Solidea Vitali scrive:
      Lo so Gigi, e condivido quello che scrivi. Per me, l’ideale sarebbe: contenuto (idee sane) e comunicazione empatica. Mi capita di vedere eventi che hanno valore e valenza ma che vengono comunicati in maniera pessima. Il risultato è che non arrivano.